Si è tenuto ad Assisi dal 20 al 22 novembre 2017 il consueto convegno nazionale per i delegati dell’ecumenismo, in cui si è continuata la riflessione iniziata l’anno scorso sul significato della Riforma per le chiese cristiane, in occasione del cinquecentesimo anniversario del suo inizio.
Padre Giraldo, studioso cappuccino dell’Istituto San Bernardino di Venezia, ha evidenziato che le celebrazioni di questo cinquecentenario sono avvenute senza contrapposizioni e senza opposizione tra le varie confessioni cristiane, e che Lutero è stato rivalutato come maestro comune delle varie chiese cristiane, avendo influenzato, con il suo pensiero, su non pochi argomenti, il processo di pensiero cattolico che ha portato al Concilio Vaticano II (cristocentrismo della DV, concetto i popolo di Dio in LG2 e 8, concezione del ministero come servizio in CD 16 e PO, rivalutazione del concetto di sacerdozio comune). Se è vero, concludeva padre Giraldo, che forse non è mai esistita una chiesa riformata, ma solo sempre una chiesa “fa riformare continuamente”, allora è anche vero che l’ecumenismo può diventare un motore di questa permanente opera di riforma, perché solo essendo “ecumenici”, cioè lasciandosi trasformare da un continuo scambio di doni tra chiese diverse, si riesce a essere davvero “cattolici” (cioè universali).
Il padre Touma Khachatrian della chiesa armena, illustra due figure di riformatori, che a mio avviso potrebbero essere a buon diritto paragonati, per la loro chiesa, a quello che fu Lutero per la chiesa occidentale: san Massob e Mouses di Tatev. Il primo, vissunto nel IV secolo, era un predicatore asceta, inventò i caratteri della lingua armena, accorgendosi che i suoni di questa non corrispondevano ai suoni greci: e tradusse la Bibbia in armeno, iniziando dal libro dei Proverbi, vicino alla sapienza popolare delle genti a cui si rivolgeva. Mouses di Tatev visse invece nel XVIII secolo, che fondò un monastero per combattere la decadenza morale dell’epoca, causata, secondo lui, dall’allontanamento delle popolazioni dalla Sacra Scrittura: costretto a trasferirsi dall’invidioso “Katholikòs” (così si chiama ancora oggi il capo della chiesa armena), divenne poi lui stesso Katholikòs al suo posto, distinguendosi per l’instancabile predicazione, la costruzione di scuole e la liberazione dai debiti delle popolazioni in povertà.
La pastora protestante Lidia Maggi ha usato invece immagini toccanti per caratterizzare la condivisione nella fragilità che contrassegna questo periodo dell’incontrarsi ecumenico delle chiese; si tratta di un’unità bambina, bisognosa di cure, simile alle ossa aride della celebre pagina di Ezechiele sulle quali deve ancora crescere la carne e la muscolatura: secondo la pastora bisogna puntare sull’essenziale (una sola è la cosa essenziale, disse Gesù a Marta e Maria), facendo attenzione al fatto che certi nodi su certi “marcatori identitari” che enfatizzano le differenze tra le chiese, non si sciolgono “per troppo amore” delle confessioni che li ritengono doni della propria compagine (il battesimo per i battisti, la cena per i cattolici): con l’illusione di dare certezze, forse, abbiamo costruito dei recinti: i genitori migliorano la loro opera educativa se crescono nella consapevolezza che troppo amore soffoca, e che irrigidendoci su ciò che vogliamo donare rischiamo di idolatrare i doni che custodiamo rendendoli oggetti che, come dice il salmo, “hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono…”. Bisogna forse imparare da Mosè, che in Nm 27,1ss si sente dire dalle figlie di Selfocàd: «Nostro padre è morto nel deserto. Egli non era nella compagnia di coloro che si erano coalizzati contro il Signore, non era della gente di Core, ma è morto a causa del suo peccato, senza figli maschi. Perché dovrebbe il nome di nostro padre scomparire dalla sua famiglia, per il fatto che non ha avuto figli maschi? Dacci una proprietà in mezzo ai fratelli di nostro padre»; e la legge prevedeva che le donne non potessero ereditare: la Scrittura dice che Mosè fece un’eccezione, ma la regola cambiò, e la sua decisione venne usata per altri casi: ci sono consegne inalterabili (o “principi non negoziabili”) dalle quali non è bene deviare, come fece Giosuè, “né a destra né a sinistra”; ma c’è tensione tra queste consegne e la quotidianità della vita, o la “verifica della storia”: anche la Bibbia è composta da scritti che sono “norma” (la Torah) e scritti che sono “verifica della storia” (profeti), o anche “parola dal basso dell’ordinarietà universale” (sapienziali). L’ecumenismo è la capacità di rendere la chiesa “comunità esegetica”, che sa investigare la Scrittura (la conoscevano bene le figlie di Selfocàd) e sottoporla alla verifica della storia e della quotidianità, soprattutto attraverso l’ascolto empatico, cioè la preoccupazione di capire a fondo ciò che l’altro voleva dire, facendo come lo scriba saggio del vangelo di Matteo, che è capace di trarre fuori dal suo tesoro cose antiche e cose nuove.
Il pastore pentecostale Napolitano evidenzia invece, in linea con una tradizione che passa attraverso il pietismo e il metodismo, che la riforma della chiesa parte dall’individuo, deve raggiungere la persona, nelle sue dinamiche interiori, e deve puntare sulla reale possibilità individuale di essere investiti dallo Spirito, cioè sul chàrisma, una capacità oggettiva che si riceve dall’alto, a prescindere dal merito del singolo, e che spinge a mettersi a servizio della chiesa, a stringere vincoli affettivi che formano la comunità.
Nei molti altri interventi, anche riguardanti l’evangelizzazione e l’atteggiamento nei confronti della società contemporanea, si notava, soprattutto nelle voci cattoliche, l’importanza data all’”approccio morbido”, misericordioso, dialogico: e nei molti “medaglioni” di persone che hanno testimoniato la loro fede (tra cui Madeleine Delbrel, Elisabetta l’Assia von Rochlitz, Samuel Logan Brengle) attraverso un impegno che ha coinvolto anche le tematiche del dialogo tra le chiese e le confessioni, ci sono stati forniti stimoli ed esempi per quella crescita nella santità che costituisce il cuore dell’ecumenismo spirituale.
Don Adriano.